Il lato oscuro del bitcoin, il cui valore è schizzato alle stelle (7.600 dollari l’uno), non è solo il fatto che,
come ha spiegato Federico Fubini sul Corriere,
«la criptomoneta ha caratteristiche che la rendono quasi perfetta per
sostituire nell’era digitale i paradisi fiscali del ‘900». C’è anche un
costo ambientale. Perché il meccanismo che consente la creazione dei
bitcoin (il cosiddetto
mining),
consuma un’enorme, e crescente, quantità di energia elettrica. Servono
infatti computer sempre più potenti per risolvere i complicatissimi
calcoli crittografici necessari a inserire le transazioni nella
blockchain, la sorta di gigantesco registro digitale su cui la criptomoneta si fonda (i
miners che risolvono i calcoli vengono per l’appunto ricompensati in bitcoin).
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... a partire dai dati raccolti dall’analista
Alex de Vries, «
per come sono i prezzi, i miner di Bitcoin utilizzeranno oltre 24 terawattora di elettricità all’anno».
Per fare un paragone, l’industria dei bitcoin, per come è messa ora, è
destinata a consumare in un anno un quantitativo di energia pari a
quello consumato dalla
Nigeria nello stesso lasso di tempo.
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Questa attività di mining, però, implica un'elevata potenza di calcolo
che comporta anche un alto dispendio energetico. Per questo motivo in
molti hanno puntato il dito contro questa moneta elettronica,
accusandola di consumare più elettricità che molti paesi del mondo, come il Marocco o l'’Irlanda, e di avere, quindi, un impatto ambientale
poco sostenibile.
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